E’ una sera del novembre 1891 a Parigi. Marcel Proust, appena rientrato al 9 di boulevard Malesherbes, dove abita, trova la toilette occupata. «Chi è in bagno?» chiede. «Oscar Wilde» è l’imbarazzata risposta. Allo scrittore inglese, arrivato pochi minuti prima per un invito a cena, era scappato un impudente “Ma che brutta casa!” che non passò inosservato ai parenti di Proust. Vergognandosi a morte per il suo exploit, Wilde non aveva trovato di meglio che barricarsi nella toilette. A spiare dall’occhiello questo ed altri cento altrettanto singolari tête-à-tête tra grandi protagonisti dell’arte, della cultura e della storia è Craig Brown, editorialista del Daily Mail e di Vanity Fair, in Hello, goodbye, hello: a circle of 101 remarkable meetings (ed. Simon & Schuster, pp. 358, 26.95 dollari). Più che un libro, una ghirlanda di incontri memorabili che vanno da Rasputin a Madonna passando per Freud, Stalin, Warhol, Hemingway e Walt Disney. Famoso in Inghilterra per le sue parodie sul giornale di satira The Private Eye, Brown qui non inventa nulla: si attiene con scrupolo a biografie e testimonianze d’archivio. Svelandoci che al cospetto dei loro pari i grandi personaggi diventano assai più vulnerabili, e perciò interessanti, di quanto s’immagini. Ad esempio, ci vuole Groucho Marx per far ingelosire Charlie Chaplin: nel 1937, durante una partita tra i due al Beverly Hills Tennis Club, Groucho improvvisò un picnic distendendo a sorpresa una tovaglia sul campo. Chaplin voleva continuare il match e non tollerava che gli rubassero la scena, così gli andò a dire all’orecchio, sorridendo a beneficio degli spettatori ma stizzito: “Non sono qui per farti da spalla”. Allo stesso modo è solo di fronte ad un maestro del calibro di Howard Hawks che una leggenda come Raymond Chandler può provare la sana, umanissima emozione di una figuraccia. Durante le riprese de Il grande sonno– racconta Brown – la trama venne sconquassata dalle pressioni più varie: dalla propensione all’alcool di William Faulkner, sceneggiatore d’eccezione, alle bizze di Lauren Bacall, che fece tagliare molte scene con Martha Vickers per rivalità con l’attrice, agli ostacoli che il codice etico di Hollywood pose ad alcuni snodi bollati come immorali. A film quasi finito Hawks si rende conto che c’è un mistero irrisolto: l’autista Owen Taylor giace in una limousine inabissata, ma chi l’ha ucciso?
Humphrey Bogart, che forse non vede l’ora di farla finita e ricevere il suo assegno, è per la soluzione più veloce: suicidio. Hawks non è convinto e manda un telegramma all’uomo che più di ogni altro può svelare l’arcano: Raymond Chandler. Ma la risposta telegrafica di Chandler spiazza tutti: “Non lo so!”. E questo liberatorio sprigionarsi di difetti, imperfezioni e scintille di ego – causato, come gli altri episodi del libro di Brown, dal pirotecnico cozzare dei titani – non finisce qui. Giorni dopo, il ricchissimo boss di Warner Brothers, Jack Warner, sventola infastidito una ricevuta davanti a Hawks: “Bisognava proprio spendere 70 cent di telegramma per una tale bazzeccola?”. Umani, troppo umani questi dei.
NIKITA KRUSCEV & MARILYN MONROE
Il 19 settembre 1959, seguendo la politica del disgelo, Kruscev è negli studi della Twentieth Century Fox. Gli viene detto che non potrà vedere Disneyland per motivi di sicurezza, e lui si infiamma: «Com’è possibile? Avete forse dei lanciamissili, lì? C’è un’epidemia? Dei gangster hanno assunto il controllo del posto? Come posso spiegarlo al mio popolo?». Poco dopo gli fanno incontrare Marilyn, che ricorderà: «Mi guardò come un uomo guarda una donna». «Lei è una donna molto affascinante» le dice Kruscev, stringendole la mano. «Ci vorrebbero più incontri come questo» ribatte la diva «perché le nostre nazioni possano capirsi». Più tardi, a casa, dirà: «Era brutto e grasso, pieno di verruche e grugniva: chi vorrebbe essere comunista con un presidente così?».
ELVIS PRESLEY & RICHARD NIXON
Il 20 dicembre 1970 Elvis vola a Washington. In aereo scrive una lettera a Richard Nixon: la diffusione della cultura della droga tra i giovani lo angoscia e così, come icona americana, vuole offrire il suo aiuto al presidente. Quello stesso giorno lo staff di Nixon organizza un incontro a cui Elvis si presenta con una delle sue inconfondibili mise. «I Beatles sono venuti qui, hanno preso soldi americani e sono tornati in Inghilterra a fomentare l’antiamericanismo » esordisce Presley. Poi si mette a parlare di droga e chiede: «Voglio dare una mano. Posso avere un distintivo da agente della Narcotici?». Nixon, un po’ sorpreso, acconsente. E non può trattenersi dal notare: «Certo che lei si veste strano, eh?». «Lei ha il suo show, presidente, e io ho il mio».
PATTI SMITH & ALLEN GINSBERG
Nel novembre 1969 Patti Smith è allo Horn & Hardart Automat di New York, self service automatizzato. Inserisce in una fessura quanto ha con sé, 55 cent, per prendere una porzione di formaggio e lattuga. Ma lo sportello del cibo non si apre: non si è accorta che il prezzo è salito a 65 cent.
Un uomo barbuto e corpulento – che lei riconosce subito come Allen Ginsberg, il poeta guru del beat – aggiunge i 10 cent restanti e le offre un caffè.
«Ma tu sei una ragazza»? chiede Ginsberg.
«Già. Perché è un problema?» replica lei.
«Oh, scusami. Ti avevo scambiato per un ragazzo molto carino» spiega Ginsberg.
«Significa che devo restituirti i soldi?».
JAMES JOYCE & MARCEL PROUST
Il 18 maggio del 1922 i collezionisti d’arte Sydney e Violet Schiff coronano il loro sogno: riunire a cena – all’Hotel Majestic di Parigi – i più grandi artisti viventi: Stravinsky, Picasso, Joyce e Proust. Stravinsky e Picasso arrivano puntuali. Joyce solo a cena ultimata, ubriaco e barcollante. L’elusivo e malato Proust («pallido come la luna di pomeriggio » nota Stravinsky) fa la sua comparsa alle 2,30 di notte. Un suo complimento a Stravinsky: «Lei mi ricorda Beethoven» viene così cassato dal compositore: «Detesto Beethoven ». Poi Proust si presenta a Joyce, risvegliatosi dal suo torpore alcolico. La Duchessa de Clermont-Tonnerre ricorderà questo secco scambio di battute: «Non ho mai letto i suoi lavori, signor Joyce».
«Neanche io i suoi, signor Proust ».
HARPO MARX & RACHMANINOV
Nell’estate del 1931 Harpo Marx, a Los Angeles per un nuovo film, è in un bungalow nel resort The Garden of Allah. Ha con sé l’inseparabile arpa, ma proprio mentre si sta esercitando viene disturbato dalle note di un pianoforte dal bungalow accanto. Si lamenta con la direzione: «Uno di noi due deve andarsene, e non sarò certo io: sono arrivato prima». Ma il molesto vicino è Sergej Rachmaninov in persona, e Harpo capisce che nessuno chiederà mai all’illustre compositore di spostarsi.
Così passa all’attacco: apre porte e finestre e ripete furiosamente, senza sosta, le prime quattro battute del Preludio in Do diesis minore del Maestro. Dopo un paio d’ore è Rachmaninov a chiedere di essere spostato il più lontano possibile da quell’arpista irriverente.
G. B. SHAW & BERTRAND RUSSELL
A fine estate 1895 George Bernard Shaw e Bertrand Russell sono ospiti degli economisti Sidney e Beatrice Webb a Monmouth (Galles). Shaw ha 29 anni, ma ancora non padroneggia la bicicletta. Di una caduta rovinosa scriverà: «Avrebbe ucciso chiunque tranne un vegetariano». Il 12 settembre Shaw e Russell partono per una gita in bici. Quando il filosofo si ferma, incerto per la direzione, Shaw lo investe, ruzzolando sei metri più in là. Shaw è incolume, mentre l’altra bicicletta è distrutta e Bertrand Russell dovrà ritornare in treno. Un treno molto lento: Shaw lo precede a ogni stazione, affacciandosi nella carrozza per sbeffeggiare l’amico. «Sospetto che Shaw abbia interpretato tutto l’accaduto come una prova delle virtù del vegetarianesimo », commenta Russell sessant’anni dopo.
(© La Repubblica / Giuliano Aluffi)