«Ciò che vediamo intorno a noi non è esattamente quel che sta fuori, ma solo una costruzione del nostro inconscio». Sembra la premessa di un film di fantascienza, e invece a dirlo è uno dei più brillanti neuroscienziati americani, David Eagleman, direttore del laboratorio di percezione del Baylor College of Medicine di Houston e autore di Incognito: the secret lives of the brain (Pantheon Books). «Intendo dire che il cervello non è passivo nel percepire la realtà esterna, ma ha un ruolo fortemente attivo, ancora più importante di quello di occhi e orecchie: noi possiamo infatti percepire solo quello che il nostro inconscio già si aspetta di trovare, e che corrisponde a un modello interno della realtà che il cervello si costruisce durante la vita e che registra nell’inconscio perché sia poi disponibile “in automatico”». Ci sono insomma un gruppo di neuroni, presenti soprattutto nell’emisfero destro del cervello, che seguono programmi indipendenti dal nostro controllo cosciente: accumulano informazioni senza che ce ne rendiamo conto e, al momento opportuno, le usano.
«Una prova? Il caso di Michael May, che perse la vista da bambino in un incidente e l’ha riacquistata grazie ad una operazione chirurgica dopo i 43 anni: tolte le bende, l’insieme di linee e colori che May si trovò davanti non avevano alcun senso per lui. Gli ci vollero due settimane per tornare a vedere davvero: il tempo necessario al cervello per recuperare un modello aggiornato del mondo esterno». Tutti abbiamo nelle nostre menti questo modello, come fosse un film girato in continuazione dall’inconscio e corretto in corso d’opera grazie agli stimoli che ci arrivano dagli occhi e che nel talamo vengono confrontati con il film, in modo da cogliere le eventuali discrepanze con la realtà. Può anche accadere che il regista – ossia l’inconscio – sia così innamorato del suo film da preferirlo alla realtà esterna. «Come hanno dimostrato Levin e Simmons nel 1997: di fronte ad un video con un uomo che cuoce una frittata, poi uno stacco e poi di nuovo la scena di prima, ma con un attore diverso, due terzi degli spettatori non si accorgono dello scambio di persona, perché viola le attese del nostro inconscio» dice Eagleman. Quel gruppetto di neuroni che lavora costantemente a nostra insaputa per tenerci in contatto con la realtà non è solo un invisibile compagno di viaggio: «In fondo siamo come clandestini imbarcati su una nave guidata da altri, e ci illudiamo di essere al timone» spiega Eagleman. Che poi è quello che diceva Freud, e che la neuroscienza oggi conferma: la maggior parte della nostra attività mentale avviene a livelli inaccessibili all’io. Per usare un’altra metafora, il nostro inconscio è come una nazione in piena attività, con il ministero dell’interno nella corteccia mediale prefrontale, dove si monitorano appetito, desiderio, motivazione. La mente conscia invece è come un giornale: è al corrente solo delle cose principali e può raccontare solo il già accaduto. Un’idea che arriva alla mente conscia non è nata in quel momento, ma è il frutto di elaborazioni precedenti dell’inconscio, anche di pochi millesimi di secondo prima. E l’inconscio è quasi sempre egoista: «Lo psicologo John Jones ha trovato che preferiamo acquistare i prodotti il cui nome inizia con le stesse lettere del nostro: tra due tè del tutto uguali chiamati Tomeva e Lauler, Tommy preferirà inconsciamente il primo e Laura il secondo. In un altro esperimento di Jones degli studenti che dovevano valutare la figura storica di Rasputin lo giudicavano più o meno benevolmente a seconda che la data di nascita del monaco russo inserita nel testo (e modificata via via dagli scienziati) fosse o non fosse corrispondente con la loro. In queste manifestazioni egoistiche è chiaro come l’inconscio compia all’istante scelte precise, che precedono e influenzano le decisioni coscienti». Di fronte a un problema, invece, il cervello riconfigura i suoi circuiti per risolverlo, poi memorizza la strategia vincente nella parte inconscia della mente, così la volta successiva quel problema si potrà risolvere “in automatico”, senza dispendio di energia. «Quando giochiamo a tennis, per esempio, e arriva verso di noi una battuta a centoventi chilometri orari, non c’è tempo per scegliere razionalmente la risposta, in quel momento è l’inconscio che ci dà una mano». Certo, un pilota automatico è sempre un po’ rigido. «E infatti è la mente conscia a risolvere problemi e distribuire le risorse, un po’ come l’amministratore delegato di un’azienda». Tutto quello che segue i programmi consolidati nel corso dell’evoluzione umana invece è terreno dell’inconscio: «In un esperimento abbiamo chiesto a degli uomini quanto trovassero attraenti delle donne mostrate in fotografia. All’insaputa degli uomini, in metà delle foto le donne avevano le pupille dilatate e gli uomini tendevano a classificare come più attraenti proprio queste, senza saper spiegare il motivo della loro scelta. “Qualcosa” dentro di loro sapeva che dilatare la pupilla indica interesse sessuale. Centinaia di migliaia di anni di selezione naturale hanno programmato il nostro inconscio a cogliere questi segnali, e a reagire in modo utile alla continuazione della specie». In un altro esperimento hanno mostrato ad alcuni volontari foto di uomini e donne, chiedendo di valutarne la bellezza. Poi hanno ridato loro le stesse fotografie, questa volta invitandoli a prendersi tutto il tempo desiderato per formarsi un giudizio. Risultato? Le persone che notiamo per un attimo ci sembrano, in media, più belle. Anche in questo caso l’inconscio sembra seguire dettami ancestrali: sarebbe un peccato sottovalutare un partner potenzialmente interessante. Meglio gradire, tanto per dire no c’è sempre tempo. (© La Repubblica / Giuliano Aluffi)
Ottobre 30, 2014scienza